"Gli strani casi del dottor Della Valle"
Il collezionista di carillon

Mi chiamo Roberto Della Valle, ho compiuto quarantadue anni il mese scorso, e ho buoni motivi per ritenere che chi dice: "la vita incomincia a quarant'anni" racconti un sacco di balle.
Sono medico, scapolo, e abito in una "deliziosa mansarda in una palazzina d'epoca", definizione usata dai padrone di casa il giorno in cui mi ha fatto sapere quanto avrei pagato d'affitto. In realtà, vivo praticamente nel sottotetto di una casa molto vecchia in via Fiori Chiari, nel cuore di Milano. Per chi non conoscesse Milano e la zona di Brera, vi posso dire che sì, è davvero il cuore della città, ma dovete anche sapere che si tratta di un cuore ad alto rischio di collasso.
Prima di riuscire a dormire la sera devo aspettare con pazienza che maghi, cartomanti, commercianti, visitatori, nottambuli e girovaghi, decidano di andarsene a casa loro a passare, che so, le ultime due ore prima che spunti il sole. Vi dicevo che sono scapolo; un single, per usare termini attuali. Ma non è esattamente una mia scelta di vita. Più che altro si tratta di una condizione forzata: un po' dovuta al mio lavoro e, molto, legata al mio strano "hobby". C'è chi ama il giardinaggio, chi la fotografia, chi il bricolage o altro; io invece ho l'hobby di occuparmi di casi strani. Ma dire casi non è proprio il termine esatto perché prima che me ne occupi io non sono nemmeno tali. Fino a quel momento sono solamente piccoli segnali, miei personalissimi pizzicorii, che mi sfiorano, mi chiamano, mi tirano la giacca (pardon, il camice) e mi obbligano a occuparmi di loro.
Tante volte ho fatto finta di non vedere, di non sentire ma è stato sempre inutile: se ho qualcosa in sospeso con la mia coscienza, e soprattutto con la mia curiosità, non riesco a chiudere occhio, nemmeno se in via Fiori Chiari, miracolosamente, fosse calato il silenzio eterno.
“Sei-uno-che-non-si-fa-i-fatti-suoi", mi ripeteva spesso Alice, cantilenando, e forse aveva ragione lei. Se un tarlo comincia a rodermi, sia io che il tarlo siamo in grave pericolo, e da quel momento sono guai per entrambi. Lo so io, lo sa lui. Strani casi, dicevo, ma vorrei spiegarvi meglio di cosa si tratta.
Facendo un lavoro come il mio, me ne capitano di tutti i colori e col tempo ho imparato a dar retta al mio istinto, a quella che io chiamo "la mia vocina". Ho incominciato aiutando alcune persone che a mio avviso avevano davvero un problema più grande di loro, ed è così che ho iniziato a risolvere veri e propri "casi" ma non casi clinici come sarebbe logico attendersi da uno che svolge la mia professione. Per la verità tutto comincia sempre da una visita o da una confidenza fattami da un mio paziente, ma poi diventa tutta un'altra cosa.
"Gli strani casi del dottor Della Valle", così come li chiama Lupo, il mio amico maresciallo dei carabinieri a cui mi rivolgo quando ho bisogno di qualche consiglio, di un aiuto, o più semplicemente di qualcuno con cui chiacchierare di queste storie.
Perché vi sto raccontando queste cose? Semplice: visto che è davvero insperabile che in via Fiori Chiari tornino la pace e il silenzio, e dato che Alice mi ha detto (urlato), per la milionesima volta, che di me non ne vuole più sapere niente, ho escogitato un modo per combattere la mia insonnia forzata e per riempire quegli spazi vuoti di tempo che altrimenti si trasformerebbero in pericolosissimi stati depressivi con conseguenti abbuffate di gelati, patatine, pop-corn e altre schifezze.
Beh, visto che ve l'ho promesso, comincio col raccontarvi la storia dell'architetto Olmi, il mio ultimo caso risolto in ordine di tempo. Mettetevi comodi. lometri percorsi a fare avanti e indietro tra Milano e l'hinterland. Avevo tutto il tempo di arrivare puntuale all'una sotto casa di Alice, ma il mio teledrin rovinò tutto alle 12 e un quarto in punto.
Mi sbottonai il cappotto e la giacca e lessi sul display del messangers un numero di telefono che a prima vista non conoscevo. Controllai immediatamente nell'agenda elettronica e dopo pochi secondi scoprii che quel numero apparteneva a un mio vecchio paziente, l'architetto Olmi.
Chiamai dalla cabina poco distante dall'autolavaggio e dopo quattro squilli mi rispose Lia Santi, la moglie dell'architetto. La donna stava piangendo, singhiozzava, e non riuscivo a capire che cosa mi stesse di-cendo. Per un attimo la donna riuscì a calmarsi e con una voce rotta dal pianto mi disse che suo marito era morto. Assassinato. A quel punto due cose sole mi erano chiare: la prima era che dovevo raggiungere immediatamente villa Olmi, la seconda invece riguardava Alice: sapevo già che, comunque fossero andate le cose, non sarei potuto arrivare puntuale all'appuntamento e questa volta si sarebbe davvero arrabbiata. E di brutto, anche. In meno di un quarto d'ora raggiunsi viale Zara dove al numero 118 c'era villa Olmi. Davanti all'ingresso stazionavano due macchine della Polizia con i lampeggianti accesi. Un poliziotto piantonava il cancello e quando mi vide arrivare cominciò a scrutarmi da capo a piedi.
"Sono il dottor Della Valle" dissi mostrando i documenti, "il medico della famiglia Olmi".
Il poliziotto perse immediatamente ogni interesse e disse: "Mi sa che è arrivato tardi, dottore". Poi si scansò svogliatamente e mi fece passare.
Conoscevo già la strada e dopo una decina di metri varcai la massiccia porta in legno che qualcuno aveva lasciato socchiusa. In passato avevo visitato numerose volte quella casa e ciò che mi era rimasto impresso era il silenzio e la sensazione di pace che vi regnava. Quel giorno invece sembrava la sala di aspetto della stazione Centrale. Poliziotti in borghese e in divisa camminavano nervosamente avanti e indietro, i fotografi della scientifica mettevano a dura prova la resisten-za delle loro macchine scattando a raffica, altri agenti rilevavano le impronte sui mobIli del salone. Mi sembrava di essere finito sul set di un film poliziesco ma purtroppo non si trattava di fiction, il cadavere dell'architetto Olmi era sdraiato a terra proprio al centro del salone.
C'era sangue dappertutto. Sul tappeto un'enorme chiazza scura si era sparsa in un ovale irregolare. Sul divano e sulla scrivania c'erano schizzi di sangue cerchiati dal gesso bianco usato dagli agenti della scientifica.
In quella grande stanza dal soffitti alti regnava un caos indescrivibile, tutto era in disordine.

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