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"Certo era un po' esaurito. Troppo lavoro o troppo
qualcosa.
Diamo la colpa allo stress, alla vita che facciamo oggi;
funziona sempre. Comunque una vacanza gli avrebbe
fatto bene, sicuramente. Forse non avrebbe
neanche portato con sé la sua fedele macchina da scrivere elettrica..."
“Non c'è
costrutto!", sbraitò Cespick dalla sua poltrona di
cuoio Agitò i fogli con la mano, brandendoli verso Larry
come se fossero fotografie comprovanti un adulterio
consumato in un motel della River-est.
Era diventato rosso in viso e il sigaro nel portacenere
impestilenziva tutto il locale.
Buttò con spregio l'ultimo racconto di Larry sul bordo
della scrivania stracolma di cartelle dattiloscritte e in
disordine. Lui lo guardò atterrare silenzioso su quelle
piramidi irregolari di carta multiformato.
Allungò la mano per riprenderlo e Cespick, più veloce,
l'afferrò sottraendoglielo per un pelo.
Larry lo guardò stupito.
Cespick era l'editore che lo aveva sollevato di forza
dall'anonimato e dalla miseria. Aveva creduto in lui
subito, dal primo raccontino che gli aveva fatto leggere.
Pensava solo ai soldi, ma non era un uomo cattivo.
Per lui prima c'era il denaro poi le donne, poi tutto il
resto. Non aveva ancora cinquant'anni e si poteva
considerare un uomo ricco e potente.
Era solito dire: “Se un uomo si lascia prendere dal
lato umano delle persone, è meglio che vada a fare lo
spazzino. Non c'è posto nel mondo degli affari per il
cuore".
Quello era il suo credo. Prima gli interessi, poi le
persone. "Ehi, Larry, ascoltami! Te lo dico una
volta sola. Voglio su questo tavolo romanzi come "Le
tigri del cielo" o "Silenzi della giungla"
o "Squadriglia di ferro", e non questa roba
melensa e strappalacrime per lavapiatti complessate!"
Batté la forte mano con impeto sulla scrivania e fece
traballare tutto.
Cespick fulminò con uno sguardo glaciale Larry mentre si
faceva minuscolo nelle spalle cadenti.
"Calmati Cesp...", balbettò appena. "Calmati
un corno!", urlò di rimando Cespick, alzandosi
dalla poltrona e cominciando a camminare nervosamente
nell'ampio salone. Tirò due boccate dal sigaro, una
dietro l'altra e lo fece diventare rovente, come il suo
animo.
"Sai che avevo un contratto in esclusiva con Londra
per il tuo prossimo libro... E adesso cosa gli mando?
Quel romanzo per bambini che mi hai dato? Alla quarta
pagina già non se ne può più...”
Si girò verso di lui. "Larry che cosa ti è
successo? Se hai dei problemi parliamone. È tua moglie
che ti pressa? Se è così butta via la macchina da
scrivere perché uno scrittore di successo non può
dividersi tra moglie e fama. O l'uno o l'altro..."
"No Cesp, non c'entra Mary, anzi... lei mi parla più
o meno come fai tu, ma è che... da un po' di tempo...
non riesco più a "partire" insieme al racconto.
Prima era diverso. Decollavo già dalle prime righe e
riuscivo ad immergermi e ad immedesimarmi nel personaggio
tanto da viverlo e avere delle crisi di identità ogni
mattino quando mi svegliavo". Il tono era caldo,
invitante, e il timbro della sua voce invogliò l'editore
ad ascoltarlo, sebbene fosse un tipo che non adorasse
stare a sentire le logorroiche vicende dei suoi "cavalli".
Soleva chiamarli così i suoi scrittori, quelli che aveva
preso e tenuto a covare sotto l'ascella prima di dargli
quello che lui aveva intuito si meritassero. I "cavalli".
Ed erano tutti di razza nella sua scuderia. Se uno
zoppicava, lui lo strigliava un po'. Se non guariva
sarebbe stato lui stesso a dargli il colpo di grazia per
non farlo soffrire. Perché Cespick, a torto o a ragione,
pensava che uno scrittore o va forte o è meglio che si
fermi per raccogliere violette in qualche prato e che
magari viva il resto dei suoi giorni chiedendo la carità.
Non c'erano vie di mezzo. O numero uno, cavalli vincenti,
o niente. Non si accontentava nemmeno di un "piazzato".
No, assolutamente vincenti o non se ne faceva niente.
Questo era Cespick e sapeva fare il suo mestiere
dannatamente bene. Larry mise le mani in tasca e cercò
un kleenex. Dopo averlo trovato si soffiò il naso e buttò
il fazzolettino nel cestino traboccante di spessa carta
da pacco marrone. "Penso sia la stanchezza, Cesp...
Credo di essere arrivato a quel punto in cui non viene
fuori più niente di buono, neanche se ti spremono come
un limone. Forse...
Cespick sbottò un' altra volta.
"Non dire stupidate Larry e non fare la mammoletta
per farti commiserare dagli altri. Tira fuori il
carattere, come hai fatto la prima volta che sei venuto
qui da me. Davi sicurezza. Sembravi uno di quei tipi che
non si lasciano scoraggiare dalla prima crisi che arriva.
Oh... certo, non siamo mica di ferro. Larry, sei stanco
d'accordo. Prenditi una vacanza, una bella e rilassante
vacanza. Ma non parliamo di "blocchi" o di
altre cose da giornaletto per l'oratorio... Ok?"
Larry si sentì scosso dalle parole di Cespick, e in
parte rinvigorito. Aveva ragione lui, come sempre.
Certo era un po' esaurito. Troppo lavoro o troppo
qualcosa.
Diamo la colpa allo stress, alla vita che facciamo oggi;
funziona sempre, pensò. Comunque una vacanza gli avrebbe
fatto bene, sicuramente. Mary sarebbe stata felicissima
di partire. Larry pensò anche che forse non avrebbe
neanche portato con sé la sua fedele Underwood elettrica.
Tanto per non correre il rischio di un rigetto. Una bella
vacanza disintossicante e via, sarebbe ritornato
pimpante e come nuovo, deciso a scrivere il più bel
romanzo della sua vita. Già si immaginava il caldo, i
drink, i bikini.
Sì, Cespick aveva avuto una bella idea: un'idea da
"cavallo vincente".
“Ok Cesp. Hai ragione tu. Mi prenderò una vacanza,
facciamo quindici giorni, ok?"
"Bravo! Quando torni però non voglio più vedere
quella faccia smorta e sentire quei discorsi, siamo
intesi?"
"Certo".
Tese la mano e l'editore la strinse con vigoria
aggiungendo:
"Ah... Larry, cerca di non fare le tue solite
figuracce mentre rilascerai quell'intervista, mi
raccomando... e poi voglio sentirti almeno tre volte alla
settimana per sapere come sta andando il nuovo romanzo
che scriverai..."
"Cesp, una vacanza è una vacanza non voglio sentire
parlare di niente..."
Cespick gli mise una mano sulla bocca e lo zittì."
CONTINUA...
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